TRIBUNALE ORDINARIO DI VENEZIA SEZIONE DEL GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI N. 3882/01 R.G. notizia di reato N. 12282/01 R.G. G.I.P. Ordinanza Il G.I.P. letti gli atti del procedimento sopraindicato nei confronti originariamente di "persona da identificare", la richiesta di archiviazione del P.M. e l'opposizione del querelante-parte offesa O s s e r v a Con querela proposta il 6 febbraio 2001 Vejsel Nevzat, dopo aver illustrato i fatti, chiese alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia di procedere penalmente nei confronti di Gesuato Maria per i reati previsti e puniti dagli artt. 612 e 594 c.p. Il P.M., senza svolgere alcuna indagine e senza nemmeno iscrivere nel Registro di cui all'art. 335 c.p.p. il nominativo della denunziata, ha richiesto l'archiviazione sostenendo testualmente che "Le sole dichiarazioni della parte offesa non consentono una completa ed esaustiva ricostruzione degli episodi narrati in querela ed, in assenza di ulteriori riscontri, non consentono di sostenere l'accusa in giudizio". Avverso la richiesta del P.M. il querelante, a mezzo del suo legale, ha presentato opposizione facendo presente come la costante giurisprudenza di legittimita', pur suggerendo le opportune cautele, non ha mai radicalmente escluso l'attendibilita' delle sole dichiarazioni della parte offesa. E comunque nel caso di specie l'opponente ha indicato vari testimoni del fatto lamentando come una di queste persone informate fosse gia' stata segnalata nell'atto di querela senza che il P.M. avesse provveduto a sentirla. Pertanto, sia a seguito della predetta opposizione sia perche' a questo giudice appare fin da ora per nulla convincente la richiesta di archiviazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 410 e 409, comma 2, c.p.p., dovrebbe essere fissata un'apposita udienza in camera di consiglio. In tale prospettiva, e' stato richiesto al P.M. di iscrivere il nominativo della Gesuato nel registro di cui all'art. 335 come stabilito dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 176 del 10/18 maggio 1999. Peraltro, appare non manifestamente infondata la possibilita' che la previsione di tale udienza contrasti con norme di rilievo costituzionale. In particolare, l'attuale formulazione dell'art. 111 Costituzione prescrive che la legge debba assicurare una ragionevole durata del "processo". Tanto si deve intendere, per forza di cose, riferito anche al "procedimento" laddove con la procedura dettata dall'art. 409 c.p.p. i tempi si dilatano indefinitamente sia per la fissazione dell'udienza - che con l'attuale carico di lavoro dei G.I.P. non puo' essere affatto sollecita - , sia per il tempo necessario per le notifiche, sia per il tempo necessario ad esperire le ulteriori indagini sia, eventualmente, per tutti i possibili frequenti inconvenienti quali la necessita' di rinvio dell'udienza per difetto di notifiche o la necessita' di svolgere accertamenti per reperire l'indagato. Al riguardo, si deve ricordare la direttiva di cui al n. 1, comma 1, art. 2 della legge delega 16 febbraio 1987 n. 31 ("massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto o attivita' non essenziale") che, anche se non costituisce naturalmente un principio di carattere costituzionale, ha assunto una valenza generale tale nella formazione e nell'interpretazione della legislazione procedurale da essere stato richiamato dalla stessa Corte costituzionale. Infatti, appare opportuno menzionare proprio l'insegnamento della Corte (ord. n. 241 del 1991) della necessita' di norme preordinate allo scopo di perseguire finalita' di giustizia e di pervenire alla sollecita definizione del procedimento (v. anche ord. n. 8 del 1992, sent. n. 56 del 1993, sent. n. 59 del 1993, ord. n. 22 del 1995). Evidentemente in tale prospettiva il legislatore ha anche emanato la legge 24 marzo 2001 n. 89 intitolata proprio "Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo" che richiama espressamente l'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. L'art. 1 della teste' menzionata Convenzione indica "ogni persona" quale titolare di diritti ed in tale categoria rientra certamente la parte offesa di un reato a cui il codice di procedura riconosce vari diritti e facolta' (v. artt. 90 e ss.) fino al diritto appunto di presentare opposizione alla richiesta di archiviazione e chiedere la celebrazione di un'apposita udienza. Senza considerare che la parte offesa, in qualita' di danneggiato dal reato, puo' costituirsi parte civile cosicche' rientra specificamente nella previsione di cui all'art. 6 della predetta Convenzione. Nel caso di specie - come in molti analoghi casi - appare evidente come la celebrazione dell'udienza si risolve in una assolutamente inutile perdita di tempo dal momento che essa si concluderebbe certamente con l'indicazione al P.M. di effettuare indagini sentendo le persone che sembra possano riferire sui fatti. Ne' nel caso di specie potrebbe condurre ad una diversa soluzione il contraddittorio fra opponente ed indagata giacche' le deduzioni di quest'ultima farebbero pur sempre ritenere conforme a giustizia l'audizione dei "testimoni" al fine di poter addivenire all'accertamento della verita'. Insomma, la parte offesa subisce un ingiustificato ed inutile ritardo procedurale nella decisione. Per converso, tale situazione comporta una valenza negativa anche per l'indagato poiche' nel caso in cui le indagini dimostrino l'insussistenza del reato ascrittogli ovvero qualunque altra causa di improcedibilita' o di assoluzione si sarebbe irreparabilmente verificato il mancato rispetto del ragionevole termine con conseguente danno, quantomeno non patrimoniale poiche' il nominativo resterebbe iscritto per lunghissimo tempo nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. Ne consegue, quindi, in ogni caso, la violazione dell'art. 111 della Costituzione. Si trascrivono, inoltre, per quanto possano essere pertinenti nella fattispecie, le motivazioni del provvedimento con cui questo giudice ha sollevato in data 15 giugno 2000, questione di legittimita' costituzionale sempre in ordine all'obbligo stabilito dall'art. 409 c.p.p. di celebrare l'udienza camerale su cui la Corte non si e' ancora pronunciata (si e' appreso che l'udienza e' fissata il 10 ottobre 2001): "La disposizione e' in manifesta difformita' con quella di cui all'art. 406 c.p.p. in tema di richiesta del P.M. di proroga dei termini per "giusta causa" che, abitualmente, si identificano appunto con la necessita' di esperire ulteriori indagini. Orbene, per tale ipotesi non e' affatto prevista la fissazione di una camera di consiglio bensi' solo la notifica alle parti interessate della richiesta con avviso della facolta' di presentare memorie entro cinque giorni. Quindi, il giudice puo' provvedere in senso positivo "de plano" con ordinanza. Ed e' da notare che l'interessato non ha diritto a prendere visione degli atti e, addirittura, viene a conoscere solo, del tutto genericamente, della "indicazione della notizia di reato" (art. 406, primo comma, c.p.p. e cfr., al riguardo, Cass., sez. VI; sent. 3025, 6/28 agosto 1992, Ferlin; conf sez. VI; c.c. 6 agosto 1992, n. 3027: "Quanto al requisito dell'indicazione della "notizia di reato , lo stesso e' assolto con l'indicazione delle ipotesi di reato per le quali vengono svolte le indagini, senza che siano necessarie indicazioni temporali e spaziali del fatto, requisiti che sono, invece, previsti per l'informazione di garanzia. Cio' in quanto l'informazione di garanzia e' prevista per consentire all'indagato di approntare difese "di merito , mentre la notizia di reato deve essere indicata nella richiesta di proroga ex art. 406 c.p.p. soltanto quale "punto di riferimento del vero oggetto del contraddittorio, che riguarda essenzialmente i motivi addotti dal P.M. per giustificare la sua richiesta"). Nell'ipotesi di cui all'art. 409 c.p.p., invece, la persona sottoposta alle indagini ha diritto di conoscere tutti gli atti (comma 2: "Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria") e si svolge una vera e propria udienza a cui l'interessato partecipa con il difensore. Non e' dato comprendere la differenza dal momento che nel primo caso il legislatore reputa sufficiente un mero "contraddittorio cartolare" e l'interessato ha diritto ad una conoscenza talmente limitata della notitia criminis a suo carico e non ha diritto a conoscere gli atti tanto da risolversi quasi sempre le sue "memorie" in semplici affermazioni di principio o astratte. Nel secondo caso, invece, del tutto simile al primo come si precisera' successivamente, l'indagato ha "diritto" al massimo delle garanzie processuali. Si e' teste' affermato che la situazione presenta manifeste analogie nelle due ipotesi in quanto nel caso di cui all'art. 406 c.p.p. la necessita' di ulteriori indagini viene prospettata da una parte per iscritto e, quasi sempre genericamente, contraddetta regolarmente per iscritto dall'altra parte. Il giudice, poi, ha la possibilita' di accogliere la richiesta di proroga del termine e, quindi, di autorizzare il compimento di ulteriori indagini in base appunto alle semplici deduzioni scritte delle due parti. Ne' tanto appare assolutamente incostituzionale dal momento che il cittadino ha diritto ad esercitare la sua difesa (art. 24 Costituzione) ma non gia' ad impedire che vengano svolte indagini nei suoi confronti a fronte di una ipotesi di reato e di una sua eventuale responsabilita' supposta dal P.M. ed avallata da un giudice. Nell'ipotesi di cui all'art. 409 c.p.p. dovrebbe, a tutto concedere, potersi seguire esattamente la stessa procedura giacche' in questo caso non si tratta affatto di un'opinione di una parte bensi' di quella di un giudice terzo che, eventualmente dopo aver notificato alle parti le sue perplessita' in ordine alla richiesta di archiviazione, egualmente alla luce di un "contraddittorio cartolare" possa decidere senza che occorra fissare un'apposita udienza, la cui oralita' si rivela inutile proprio alla luce della circostanza che le due parti contrapposte hanno gia' espresso per iscritto le proprie rispettive ragioni. Si palesa, quindi, una disparita' di trattamento tra due situazioni sostanzialmente eguali con lesione del principio di cui all'art. 3 della Carta costituzionale. Il tutto, poi, potrebbe contrastare inesorabilmente con il criterio del "buon andamento dell'amministrazione", prescritto dall'art. 97 Costituzione, in quanto la inutile lungaggine della procedura lamentata potrebbe, alla fine, comportare che le nuove indagini confermino l'esattezza della richiesta di archiviazione del P.M. cosicche' si sarebbe inutilmente speso tempo, lavoro e denaro pubblico. Tanto potrebbe avvenire proprio nel caso di specie sul rilievo che le ulteriori indagini non portino a risultati tali da poter sostenere validamente l'accusa in giudizio. Ma cio' non deve comportare che quella che puo' inizialmente apparire una ragionevole "pista investigativa" venga tralasciata in base ad una piu' o meno fondata supposizione, sfornita al momento di concreti riscontri. Senza, si ribadisce, che si sia realizzato o, al contrario, sia stato pretermesso il diritto di difesa dell'indagato. In definitiva, una simile inazione comporta che il giudice non e' piu' "soltanto soggetto alla legge", come prescritto dal secondo comma dell'art. 101 Costituzione, bensi' alla convenienza (o peggio ancora alla immotivata discrezionalita). Oltretutto, la legge, ponendo praticamente ed inevitabilmente il giudice di fronte a tale scelta, favorisce un ulteriore contrasto con le disposizioni dell'art. 97 Costituzione in quanto non e' piu' assicurata la "imparzialita'" dell'amministrazione. Infatti, rebus sic stantibus si finisce inesorabilmente, quantomeno, per fornire maggior rilievo e, quindi, creare una vera e propria corsia preferenziale con la fissazione dell'udienza, solo per quei casi che, ad "insindacabile" giudizio del G.I.P., meritino un approfondimento per la loro importanza, per la facilita' delle indagini ovvero per altri motivi. A scapito degli altri casi in cui, al contrario con una procedura semplificata, si potrebbe agevolmente disporre che il P.M. effettui delle ulteriori, magari brevi e facili, indagini. E tanto comporta sotto un altro aspetto ancora la violazione del principio dell'eguaglianza di cui all'art. 3 Costituzione giacche', in tal modo, una parte, cioe' il P.M., ottiene di fatto l'affermazione della propria volonta' in molte fattispecie per - va ribadito - l'impossibilita' pratica del giudice di fissare l'udienza camerale. Senza considerare, a tale proposito, anche la sussistenza della violazione del principio dell'obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale prescritto dall'art. 112 Costituzione. Basti pensare che il Pubblico Ministero - la fattispecie in esame ne e' un eloquente conferma - sceglie semplicemente e genericamente di non esercitare l'azione penale con la motivazione che non emergono fattispecie di rilevanza penale. E' pur vero che azione penale obbligatoria non significa consequenzialita' automatica tra notizia di reato e processo ne' dovere del Pubblico Ministero di iniziare il processo per qualsiasi "notitia criminis". Tuttavia, in tali casi, col suo comportamento, il Pubblico Ministero finisce per vanificare in gran misura il potere-dovere di controllo del giudice per le indagini preliminari. Proprio la Corte costituzionale ha precisato che il predetto controllo del giudice riguarda l'attivita' omissiva del Pubblico Ministero si' da fornirgli la possibilita' di contrastare le inerzie di quest'ultimo e di evitare che le sue scelte si traducano in esercizio discriminatorio dell'azione [o inazione] penale (v. sentenza n. 88 del 1991). La stessa situazione di disparita' di trattamento si realizza, poi, a favore della parte offesa benestante la quale, potendo avvalersi della prestazione di un professionista, ha la possibilita' di presentare un'opposizione ineccepibile che costringera' il giudice a fissare, sia pure tardivamente, la camera di consiglio. Ne' appare giustificabile una simile tendenza discriminatoria con la direttiva di cui all'art. 227 d.lgs. 19 febbraio 1998 n. 51 sull'istituzione del giudice di primo grado. A parte il fatto che tale norma sembra ormai superata dalla piu' recente legislazione, essa suscita non poche perplessita' di illegittimita' costituzionale proprio per i motivi predetti. Vi e' ancora un'ulteriore aspetto di violazione del principio di "buon andamento" poiche', in molti casi quale appunto quello in esame, il risultato utile per la giustizia dipende dalla rapidita' e tempestivita' con cui vengono svolte le indagini. E' di tutta evidenza come tutti i ritardi conseguenti alla fissazione e celebrazione dell'udienza (oltre al fatto che l'interessato prende conoscenza del procedimento e degli elementi a suo carico) rendano sovente inutili ovvero molto inconsistenti le ulteriori investigazioni."